Date parole al vostro dolore; il dolore che non parla sussurra al cuore troppo gonfio e lo invita a spezzarsi.
William Shakespeare
I Disturbi psicosomatici possono essere definiti come il tentativo di dare voce a un’emozione dolorosa o a un vero e proprio disagio psicologico attraverso un vero e proprio sintomo corporeo.
I Disturbi Psicosomatici non sono frutto della fantasia di chi ne soffre, ma rappresentano un vero e proprio disturbo che si manifesta con sintomi corporei reali, compromettendo la quotidianità e creando limitazioni di tipo fisico e relazionale.
Il disturbo psicosomatico può interessare ogni parte del nostro corpo e presentarsi in forme diverse a seconda degli apparati interessati: gastrointestinale (ulcera peptica, colite spastica psicosomatica, gastrite psicosomatica), cardiocircolatorio (aritmia, ipertensione essenziale, tachicardia), respiratorio (sindrome iperventilatoria, asma bronchiale), urogenitale (enuresi, dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia), tegumentario (acne, psoriasi, orticaria, dermatite psicosomatica, prurito, sudorazione profusa, secchezza della cute e delle mucose), muscoloscheletrico (cefalea tensiva o mal di testa, cefalea nucale, torcicollo, crampi muscolari, stanchezza cronica, fibromialgia, dolori al rachide, artrite).
Rilevanti sintomi ansiosi sono molto comuni, e possono costituire la regione per cui si giunge a un consulto psicologico.
Un approccio efficace al disturbo psicosomatico richiede invece la convergenza di diverse competenze specialistiche, sin dal fondamentale momento della diagnosi. Si tratta, infatti, di mettere contemporaneamente all’opera specialisti di aree differenti coordinandone i rispettivi contributi (a livello psicologico e somatico).
Dal punto di vista psicologico si possono individuare due principali livelli di intervento: farmacologico e psicoterapeutico, a loro volta coordinabili all’interno di un modello integrato. Il trattamento farmacologico però tocca la superficie del fenomeno, che ha motivazioni più profonde. Occorre allora rivisitare le emozioni contrastanti, o le situazioni, per esempio relazionali, rispetto alle quali il sintomo è diventato un segnale.